Foto Arturo Presta

LETTERA APERTA

Nonostante il susseguirsi degli avvenimenti che raccontano l’inconfutabile degrado politico, economico, ambientale e sociale in cui versa Taranto a causa di un’idea sbagliata di sviluppo, con rilevanza mediatica anche oltre i confini nazionali, sempre più cittadini non vogliono arrendersi a questo stato di cose. Se è vero che dalla crisi può emergere il meglio di una popolazione, il sentimento di appartenenza e attaccamento dei Tarantini non può limitarsi alla sfera individuale ma deve necessariamente svilupparsi attraverso iniziative che producano partecipazione e aggregazione, cittadinanza attiva e elevazione culturale, opportunità lavorative e di integrazione sociale. Iniziative finalizzate a obiettivi sempre più complessi ed al contempo condivisibili da tutti gli attori sociali, siano essi pubblici o privati, che abbiano ben chiara oggi la stringente necessità di un’idea di città diversa e migliore.

E’ da qualche tempo, in particolare, che la voglia di riconquistare gli spazi per troppo tempo preclusi della Città Vecchia e riscoprire la Storia, antica e recente, di Taranto fanno da corollario alla volenterosa ed energica serie di iniziative orientate a produrre nel concreto soluzioni alternative e rigeneratrici di ricchezza sociale in vari campi di interesse: dall’ambiente alla cultura, dal turismo all’arte, dalla storia all’enogastronomia.

Dalla nostra posizione privilegiata sul quartiere, la Torre dell’Orologio, nella quale siamo onorati di curare da più di due anni visite guidate all’Esposizione “Il Tempo del Mare” e programmazione culturale, abbiamo potuto constatare l’aumento progressivo della frequentazione agli eventi socio-culturali sull’Isola – che oggi ospita al suo interno due nuovi locali con una forte base culturale e un’Art Gallery – spesso svolti in spazi bellissimi ma non adatti per dimensioni o strutture. Ad esempio proprio nella Torre lo scorso 23 febbraio, in occasione della presentazione del saggio di Gianluca Marinelli “Taranto fa l’amore a senso unico”, un prezioso lavoro di ricerca sui movimenti artistici sviluppati nei primi anni dell’Italsider a Taranto, l’affluenza è stata talmente alta da costringere molti ospiti a rimanere sulla porta.

Questo rinvigorito attivismo sembra però non essere minimamente percepito dall’amministrazione comunale che, invece, potrebbe contribuire fattivamente e a costi ridottissimi: basterebbe garantire al mondo associativo gli adeguati spazi. Basti pensare che oltre il sessanta percento della Città Vecchia è di proprietà comunale e che, sebbene una parte sia in tragiche condizioni di abbandono o sia stata oggetto di occupazioni a scopo abitativo, sono tanti i palazzi di proprietà pubblica ancora vuoti. Palazzo Delli Ponti, ad esempio, tra via Duomo e la Marina, ripristinato anni fa per scopi universitari ed espositivi e tuttora vuoto. Oppure Cantiere Maggese in Largo San Gaetano, che rappresenta un caso ancor più eclatante. Nato grazie ai fondi regionali per i Laboratori Urbani ma chiuso dopo una poco oculata gestione che mai, se non nei primissimi mesi, ha permesso a quegli spazi di svolgere la funzione per cui è stato creato: un luogo per le associazioni, in cui sviluppare con la popolazione locale progetti mirati a superare il momento di grave degrado in cui, a causa delle politiche ghettizzanti degli ultimi quarant’anni, versa la Città Vecchia.

E’ proprio questo il nodo centrale: è possibile pensare ancora che i problemi dell’Isola si risolvano solo pianificando opere di restauro edilizio, pur necessarie, ma con gli aspetti sociali demandati esclusivamente ai gestori dell’ordine pubblico? Forse è invece il caso di valutare meglio le conseguenze di un capillare lavoro di contaminazione culturale nei vicoli e nelle piazzette del quartiere, che un’Amministrazione oculata e con una visione di lungo periodo potrebbe aiutare garantendo i necessari spazi e servizi. Continuare a lasciare la programmazione del risanamento esclusivamente nell’ambito chiuso degli uffici tecnici e delle stanze degli Ordini, invece, com’è stato fatto negli ultimi quarant’anni, non farà che protrarre la politica dei piani sulla carta, del “cambiare tutto senza che nulla cambi”, e continuerà a favorire le lobby del cemento e i palazzinari.

Prendersi cura dei tanti problemi che insistono sulla nostra città non è certamente cosa facile, soprattutto con divisioni e frammentazioni, spesso alimentate da relazioni sociali mirate al mantenimento di privilegi acquisiti, che conducono solo a vicoli ciechi. Ricostruire il tessuto sociale frammentato è impellente necessità e sicura opportunità, con l’obiettivo di rendere tutti i cittadini coscienti di un potenziale cambiamento e di riscoprirsi comunità responsabile del proprio “habitat”, ricco di beni ambientali e culturali decisamente sottovalutati e sottoutilizzati.

Parlando di difesa dei beni comuni, come il Centro Storico e il Mar Piccolo, entrambi da valorizzare, rigenerare e bonificare dai danni provocati da decenni di abbandono, occorre adoperarsi concretamente con un fare collettivo rispettoso delle esigenze di aree che rappresentano l’anima più genuina della nostra città, puntando su innovazione e conservazione. Taranto potrà riprendersi da questa crisi solo maturando un’idea di città ideale per le presenti e le future generazioni e traendo adeguati insegnamenti dagli errori del passato, per superare quanto di negativo ha prodotto lo sviluppo calato dall’alto, latore di un temporaneo e illusorio benessere ma tanto distante dalle storiche vocazioni locali.

 

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